Nel Mare del Nord si continua a trivellare. L’accordo di Parigi è storia

Cinque Paesi e un mare di promesse. Regno Unito, Paesi Bassi, Norvegia, Danimarca e Germania da decenni guidano la produzione europea di petrolio e gas. Se fossero considerati come un unico Paese rappresenterebbero il settimo produttore mondiale dei due combustili fossili.

Ma nonostante l’impegno preso con l’accordo di Parigi, nessuno di questi grandi produttori sarà in grado di interrompere le trivellazioni abbastanza presto da raggiungere l’obiettivo 1,5°C. Né tantomeno sta contribuendo con la propria giusta quota alla transizione energetica.

L’accordo di Parigi è un trattato internazionale firmato nel 2015 da 195 Paesi. I principali fattori sono:
il lungo termine – i governi si sono impegnati a mantenere l’innalzamento della temperatura sotto i 2°C e, se possibile, sotto 1,5°C rispetto ai livelli pre-industriali.
i contributi – i Paesi hanno presentato piani d'azione in materia di clima al fine di ridurre le rispettive emissioni;
l'ambizione – i governi hanno convenuto di comunicare ogni 5 anni i rispettivi piani d'azione, ciascuno dei quali fissa obiettivi più ambiziosi;
la trasparenza – i Paesi hanno convenuto di comunicare, l'un l'altro e al pubblico, i risultati raggiunti;
la solidarietà – proseguirà la fornitura di finanziamenti per il clima ai Paesi vulnerabili per aiutarli sia a ridurre le emissioni che a diventare più resilienti.

Ne fa un quadro il rapporto dell’organizzazione Oil Change International che ha valutato le politiche dei cinque Paesi rispetto a 9 indicatori. Dal fermare le nuove licenze di estrazione allo stop della costruzione di nuovi impianti, dalla riduzione della domanda all’implementazione di politiche di transizione.

L’intera regione potrebbe ancora estrarre livelli significativi di petrolio e gas fino al 2050. Regno Unito e Norvegia sono i Paesi che preoccupano di più. Continuano a mantenere un atteggiamento “aggressivo”, esplorando e concedendo licenze per nuovi giacimenti. Senza un cambio di rotta saranno tra i primi 20 sviluppatori mondiali di nuovi giacimenti.

I 5 Paesi analizzati attraverso i 9 indicatori. Dal report “Troubled Waters: How North Sea Countries are Fueling Climate Disaster” – Fonte: Oil Change International

La Norvegia ha approvato la maggiore espansione di petrolio e gas della regione dalla firma dell’Accordo di Parigi e continua a mancare di un solido piano di eliminazione graduale del fossile. Il governo non ha mai rifiutato uno sviluppo del settore, proseguendo l’attività di esplorazione di nuovi giacimenti in modo “aggressivo”.

Secondo il Ministero dell’energia norvegese, petrolio e gas “sono ancora necessari a garantire energia a prezzi accessibili alle famiglie e alle imprese”.

Subito dietro c’è il Regno Unito, che il rapporto definisce “grossolanamente non allineato” in almeno 6 indicatori. Il Paese un tempo era considerato uno dei leader nel processo di transizione, ma negli ultimi anni è crollato significativamente, anche a causa dell’allontanamento dall’Unione Europea. Su questa linea la legislazione attuale ha aumentato l’emissione di licenze e indebolito i test climatici per il rilascio.

Per il Dipartimento britannico per la sicurezza energetica, una riduzione della produzione interna renderebbe il Paese dipendente dalle importazioni, mettendo seriamente a rischio la propria sicurezza energetica.

Prezzi accessibili e sicurezza energetica, è tutto qui. La Pandemia, i conflitti aperti in Ucraina e nella Striscia di Gaza, e da ultimo la crisi del Mar Rosso, hanno narcotizzato l’intero processo, generando fermento in ogni ambito.

Già nel 2021 l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) criticava l’enorme divario tra la retorica dello zero netto e la realtà dei fatti. L’allarme lanciato era chiaro: lo sfruttamento e lo sviluppo di nuovi giacimenti di gas e petrolio devono cessare ora. E non è possibile continuare a costruire nuove centrali elettriche a carbone se si vuole veramente raggiungere zero emissioni entro il 2050.

Ciclo di vita di un giacimento di petrolio e gas – Fonte: Oil Change International

Il terreno di scontro rimane lo stesso. Lo era ieri e lo è oggi: da una parte la volontà di intervenire su un futuro fosco e dall’altra il bisogno di mantenere invariata e certa la propria quotidianità.

La Danimarca è responsabile della co-creazione di BOGA, potenzialmente l’iniziativa diplomatica più importante nella politica climatica globale da decenni. Su queste basi, la diplomazia climatica danese sta svolgendo un lavoro ammirevole e importante sulla scena internazionale” racconta Helene Hagel, rsponsabile delle politiche climatiche e ambientali di Greenpeace Danimarca. “Tuttavia, allo stesso tempo, a livello nazionale il governo sta per consentire l’avvio della produzione di un nuovo giacimento petrolifero fino al 2047, il giacimento di Hejre“.

Il giacimento di petrolio e gas Hejre è stato scoperto nel 2001 e si trova a 300 km dalla costa danese, ad una profondità di circa 70 metri. La produzione commerciale dovrebbe iniziare a breve e il costo di sviluppo si aggira intorno ai 2.188 milioni di dollari. Si prevede che raggiungerà il picco di produzione nel 2030 e dovrebbe esaurirsi dopo il 2040.

Una piattaforma petrolifera – Foto: Dean Brierley

Non sono da meno i Paesi Bassi che, piuttosto che impegnarsi nella fase di riduzione, stanno cercando di rilanciare l’esplorazione e la produzione. Ogni anno il Paese continua a spendere miliardi in sussidi ai combustibili fossili. Se tutto prosegue come pianificato, tra il 2030 e il 2045 la quantità di petrolio e gas estratto potrebbe addirittura raddoppiare.

Per la Germania, invece, la produzione di petrolio e gas è notevolmente inferiore a quella dei sui vicini. In compenso però, produce ancora un’enorme quantità di carbone, il combustibile più inquinante, responsabile del 45% delle emissioni di gas serra provenienti da processi di combustione.

Nel 2020 si decise la chiusura di 30 impianti a carbone di lignite tra il 2020 e il 2038. L’invasione dell’Ucraina però, ha spinto il governo ha riattivare alcuni reattori in disuso per far fronte alle interruzioni di gas proveniente dalla Russia.

Secondo il ministro dell’Economia e della Protezione del clima, Robert Habeck, molte centrali di lignite verranno spente nel corso del 2024. Ma invece di investire nella diversificazione e nelle rinnovabili, le autorità tedesche stanno aumentando le infrastrutture per il gas naturale liquefatto (GNL).

I Paesi del Mare del Nord – chiosa il rapporto – hanno una scelta: o guidano il mondo in una fase di eliminazione rapida ed equa del petrolio e del gas, e finanziano completamente una transizione verso economie rinnovabili dove tutti possono prosperare, oppure verranno lasciati indietro e visti come ipocriti. Gli investimenti nelle infrastrutture di petrolio e gas oggi hanno decenni di ripercussioni. Questi Paesi sono tra coloro che hanno la maggior responsabilità storica e i maggiori mezzi per investire in una transizione giusta. È giunto il momento che dimostrino la reale leadership sul clima che hanno la capacità di attuare.

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