Spagna: un governo a tutti i costi

MADRID – A tre mesi dalle elezioni anticipate e da una mancata investitura del leader PP Alfonso Feijó, la Spagna nomina il nuovo Presidente del Governo. È il socialista Pedro Sánchez, al suo terzo mandato, dopo le dimissioni del 29 maggio causate dalla sconfitta del PSOE alle elezioni regionali e comunali. 

Manifestazioni e accese polemiche fanno da contorno al lungo percorso di investitura, costruito su accordi trasversali e patti discutibili, che permette a Sánchez di avere la maggioranza dei consensi al Congresso dei Deputati

Il PSOE ha 121 seggi al Congresso dei Deputati. 
Per arrivare alla maggioranza di 176 seggi ha l’appoggio esterno di: 

- Coalizione di sinistra SUMAR, 31 seggi 
- Sinistra repubblicana di Catalogna ERC, 7 seggi
- Partito indipendentista catalano JUNTS, 7 seggi
- Partito radicale basco EH BILDU, 6 seggi
- Partito nazionalista basco PNV, 5 seggi 
- Partito nazionalista galiziano BNG, 1 seggio  
- Coalizione delle Canarie CC, 1 seggio

Per un totale di 179 seggi. 

Nel Paese si è aperta una crepa alla notizia della concessione di un amnistia al partito indipendentista catalano Junts. Un atto decisivo per Pedro Sánchez, che si assicura il favore dei 7 deputati catalani per la sua nomina. 

Legge di amnistia organica per la normalizzazione istituzionale, politica e sociale della Catalogna“, con questo nome ad inizio settimana è stata registrata la norma. Una motivazione, sedici articoli e due disposizioni aggiuntive. Comporterà l’annullamento delle sanzioni e dei procedimenti giudiziari scaturiti dalle consultazioni del 9 novembre 2014, dal referendum dell’1 ottobre 2017 e dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza. L’amnistia coprirà anche gli atti preparatori, le proteste legate ai divieti, oltre a ogni forma di assistenza, protezione, collaborazione e consulenza nei confronti dei responsabili.

La legge escluderà tutti i reati non legati al processo di sovranità in Catalogna. È il caso della Presidente di Junts, Laura Borrás, accusata di prevaricazione e falsificazione di documenti e di Gonazlo Boye, avvocato di Carles Puigdemont, accusato di riciclaggio di fondi.

Carles Puigdemont, europarlamentare dal luglio 2019 – Foto: ©European Union EP

La storia

Difficile immaginare che molti dei deputati che hanno votato uniti e compatti, sono gli stessi che poco tempo fa rifiutavano ogni tipo di associazione e legame. “Non posso negoziare con uno Stato oppressore” dichiarava il leader di Junts e Presidente della Generalitat de Catalunya Carles Puigdemont, uomo da arrestare per la giustizia spagnola, ma uomo libero per quella europea.

Questo invece era Pedro Sánchez due anni prima di subentrare al popolare Mariano Rajoy, alla Moncloa: “Con tutto il rispetto per gli elettori della sinistra repubblicana catalana (ERC), non permetterò che la governabilità della Spagna si fermi per gli indipendentisti, non lo permetterò“.

L‘1 ottobre del 2017 Puigdemont, dopo aver indetto un referendum, dichiara che la Catalogna sarebbe diventata uno Stato indipendente in forma di Repubblica. Poco dopo lascia il paese per sottrarsi alla giustizia che lo vuole arrestare. Il tema non ammetteva più sfumature: o si stava con la Costituzione o si stava con i golpisti. Pedro Sánchez fu netto: “C’è stato chiaramente un crimine di ribellione e sedizione, di conseguenza i responsabili politici dovrebbero essere estradati in Spagna “.

Entrambi i leader, al centro delle ultime contrattazione, incarnavano il divorzio traumatico che gran parte della Catalogna e gran parte della Spagna stava vivendo. Una ferita profonda generata da un processo unilaterale di indipendenza andato in scena tra il 2010 e il 2017.

L’ultimo colpo all’indipendentismo catalano, Sánchez lo ha inferto il 21 maggio 2018, due giorni dopo l’elezione di Joaquim Torra i Pla (Junts), 10° Presidente della Generalitat de Catalunya: “L’elezione di Juaquim Torra ha messo in luce le vergogne razziste del secessionismo. Torra non è altro che un razzista alla guida della Generalitat. Non è né più né meno che la Le Pen della politica spagnola”. Una totale dissociazione da chi, nel tempo, aveva paragonato i socialisti catalani a una rara capra e definito gli spagnoli saprofagi, vipere, iene, bestie in forma umana.

Joaquim Torra i Pla (a sinistra) insieme a Pedro Sánchez, 9 luglio 2018 – Fonte: ©Ministerio de la Presidencia

La svolta socialista

Il 2 giugno 2018, 10 giorni dopo l’accusa di razzismo ai vertici di Junts, Pedro Sánchez diventa Presidente del Governo spagnolo e lo fa con il supporto esterno di Podemos e dei partiti regionalisti, compresi gli indipendentisti catalani. L’occasione arriva con il caso Gürtel, una serie di inchieste per corruzione che travolgono il governo popolare di Mariano Rajoy, seguita dalla mozione di sfiducia che unisce gran parte dell’opposizione.

Di li a poco la linea del governo spagnolo e del PSOE di Sánchez nei confronti dei catalani cambierà, con una serie di gesti simbolici e aperture, si disse, per ricreare un clima di convivenza.

Alle elezioni generali del 2019 i socialisti non raggiungeranno la maggioranza. Così, dopo il fallimento dei colloqui al Congresso, si tornerà alle elezioni nel novembre dello stesso anno. Nel gennaio 2020 nascerà il governo PSOE-Podemos con l’astensione decisiva dei catalani di ERC.

Nel giugno del 2021 il governo spagnolo concederà l’indulto a 9 leader indipendentisti, condannati nel 2019 a pene tra i 9 e i 13 anni di carcere, con l’accusa di sedizione per i fatti del 2017. Pedro Sánchez confermerà la nuova linea di riconciliazione, ma non sarà immune dalle accuse di aver tradito la Spagna per i voti dei catalani di ERC (Sinistra repubblicana di Catalogna).

Da sinistra Santos Cerdán León, negoziatore PSOE, Pedro Sánchez e Míriam Nogueras, portavoce di Junts per Catalunya, durante il giro di consultazioni al Congresso dei Deputati, 13 ottobre 2023 – Fonte: ©Congreso de los Diputados

È su questa retta che si arriva al 2023. Con il piccolo partito indipendentista Junts che, dopo le consultazioni del 23 luglio, fiuta l’opportunità di convertirsi nel partito chiave per la futura investitura del Presidente. Ma è anche l’occasione per captare la capacità o l’opportunismo, a seconda di come la si vede, dell’intero arco costituzionale spagnolo.

Contraddizioni popolari

Corruzione politica, colpo di stato, manipolazione della legislatura, traditori. Sono solo alcune delle accuse dirette al PSOE e a Pedro Sánchez da Alberto Núñez Feijóo, leader del Partito Popolare spagnolo. Per lui le ultime settimane sono state occasione per ribadire l'”indegna politica di Sánchez” che offre il fianco ai “reazionari catalani” e “condanna tutti gli spagnoli che difendono la democrazia”. Una posizione chiara, limpida, che ha ripetuto anche domenica 12 sul palco della manifestazione di Puerta del Sol.

Eppure solo in agosto, al giro di consultazioni del Partito Popolare (PP), le opzioni per un accordo sull'investitura di Feijóo erano dichiaratamente aperte a tutti (eccetto ai baschi di EH BILDU). Si partiva da 172 sì (PP, Vox, Unión del Pueblo Navarro e Coalizione delle Canarie) e 178 no. Si lavorava anche solo per un'astensione di Junts.

Junts è un gruppo parlamentare che, come ERC, al di là delle azioni compiute da quattro persone, cinque, dieci, chiunque fossero, rappresenta un partito la cui tradizione e legalità non sono in dubbio. Esiste una realtà parlamentare e chiameremo i gruppi parlamentari a questo giro di contatti . Così il Vicesegretario agli Affari Istituzionali del PP, Esteban González Pons, insieme alla Segretaria Generale, Cuca Gamarra e alla Vicesegretaria alle Politiche Sociali, Carmen Fúnez, assicurava alla stampa l’intenzione di aprire il dialogo agli indipendentisti della Catalogna. Gli stessi che il PP aveva sempre definito cospiratori e golpisti.

Dichiarazioni in contrasto con quanto detto solo pochi giorni prima, mentre il PSOE contrattava l’investitura di Sánchez con Junts. “Mi dispiace che ci siano partiti che non hanno partecipato alle consultazioni del re” affermava Feijóo riferendosi agli indipendentisti. “Hanno chiarito ciò che gli interessa della Spagna e del suo governo, che non rispettano le sue istituzioni. Sarebbe un male per noi avere un governo che fa affidamento su di loro“.

Alberto Núñez Feijóo, leader del Partito Popolare insieme a Santiago Abascal, leader di Vox – Fonte: ©Congreso de los Diputados

La concessione dell’amnistia è stato sicuramente il tema centrale del dibattito. Il PP insieme a Vox ha alzato le barricate dentro e fuori il Congresso. È intervenuto anche l’ex leader e Presidente popolare, José María Aznar, sancendo la “fine delle radici del sistema costituzionale spagnolo, che già concedeva l’amnistia nel 1977”. Una spina nel fianco che in pochi si aspettavano, se non altro perché l’amnistia che si andrà ad approvare nei prossimi mesi riguarderà 1.432 persone (secondo l’organizzazione catalana Òmnium Cultural). Undici in meno dei 1.441 a cui il governo presieduto da Aznar concesse l’indulto nel 2000, in solo giorno. Nonostante gli indulti generali siano esplicitamente vietati nella Costituzione del 1978.

Essere il Presidente che ha concesso più indulti nella storia della Spagna, 5.948 in 8 anni di governo, non ha impedito ad Aznar di definire incostituzionale il governo guidato da Pedro Sánchez. Omettendo tra le cose, che il reato contestato agli indipendentisti è di sedizione, cioè contro l’ordine pubblico e non di ribellione, contro l’ordine costituzionale.

Da sinistra Mariano Rajoy, Alberto Núñez Feijóo e José María Aznar – Fonte: ©Partido Popular

Mercoledì, durante il primo giorno di dibatti per l’investitura al Congresso, Pedro Sánchez si è rivolto spesso verso gli scranni dei popolari, ironizzando sulle accuse di essersi venduto per un pugno di voti. “La differenza quindi in che consiste? (tra PSOE e PP) Beh, che quando la destra fa un accordo (e il riferimento è agli indulti di Aznar del 1996, in favore dell’organizzazione terroristica catalana Terra Lliure), è un patto tra gentiluomini. Se invece è la sinistra a farlo, allora è un tradimento completo del Paese. Non insultate la memoria degli spagnoli”.

Si ricordano anche gli accordi di Mariano Rajoy, che nel 2016 riuscì a portare una popolare alla presidenza del Congresso, grazie all’astensionismo dei baschi del PNV e dei catalani di ERC. O quando Coalizione Canarie e PNV gli permisero di approvare il bilancio generale dello Stato, poco prima della sua sfiducia nel 2018. Mercoledì stesso, mentre Feijóo accusava Sánchez di aver un patto con gli “incappucciati” baschi di EH BILDU, nel Parlamento provinciale di Álava (Paesi Baschi) il gruppo dei popolari stringeva un accordo con EH BILDU.

Pedro Sánchez durante l’annuncio della sua nomina a Presidente del Governo spagnolo, 16 novembre 2023 – Fonte: ©Congreso de los Diputados

L’epilogo

Giovedì 16 novembre, con 179 voti a favore e 171 contrari, Pedro Sánchez viene nominato Presidente del Governo spagnolo. Si chiude dopo 171 giorni dall’annuncio delle elezioni anticipate, il lungo iter che ha rinnovato il socialista per un terzo mandato. Quella che rimane ancora aperta, è la partita con gli indipendentisti catalani. La legge di amnistia sarà approvata nei prossimi mesi, ma fuorché una riconciliazione dei rapporti, non promette una serena e vicina conclusione dell’ideologia secessionista.

Dall'esecutivo c'è già chi paragona la manovra di Sánchez all'opera di Zapatero durante la trattativa con l'ETA. 
"Zapatero ha aperto la strada alla fine del terrorismo basco. Ora viene applaudito, ma allora fu torchiato. Questa è una decisione che si capirà meglio tra qualche mese e ancora meglio tra qualche anno. Sono cose che un presidente deve fare a prescindere dal costo politico".

Intanto la Spagna rimane divisa. C’è chi pensa che l’amnistia sia un orrore a vantaggio di centinaia di persone sotto processo, nonché un interesse di due soli partiti. Chi crede che l’amnistia sia un boccone amaro, ma l’alternativa sarebbe un governo di estrema destra e chi pensa che l’amnistia sia un perdono reciproco. La miglior soluzione per tutti.

Si apre una legislatura durissima, forse la più dura della storia repubblicana spagnola. In Senato il Partito Popolare sfrutterà al massimo la sua maggioranza assoluta. Al Congresso le fragili alleanze potrebbero destabilizzare ogni fase legislativa e la diatriba sull’amnistia è ipotizzabile che arrivi alla Corte di giustizia europea. Ma come ha ripetuto Pedro Sánchez: “le circostanze sono quelle che sono. Bisogna fare di necessità virtù”.

Elenco degli accordi stipulati dal PSOE con i partner di governo.

PSOE-SUMAR (Coalizione di sinistra)

  • Riduzione della giornata lavorativa.
  • Maggiori diritti per le persone LGBTQ.
  • Raggiungimento degli obiettivi per la riduzione delle emissioni di CO2 entro il 2030.

PSOE-PNV (Partito nazionalista basco)

  • Riconoscimento della volontà della maggioranza dei cittadini baschi ad un percorso di aggiornamento ed espansione dell’autogoverno e all’identificazione nazionale degli Euskadi.
  • Creazione di una commissione bilaterale per futuri accordi sull’autogoverno.
  • Vantaggi economici specifici per la Navarra.
  • Partecipazione delle istituzioni basche ai forum internazionali OCSE.

PSOE-EH BILDU (Partito radicale basco)

  • Affrontare l’agenda politica dei movimenti baschi.

PSOE-ERC (Sinistra repubblicana di Catalogna)

  • Legge di amnistia.
  • Futuro politico della Catalogna.

PSOE-JUNTS (Uniti per Catalogna)

  • Legge di amnistia.
  • Junts proporrà lo svolgimento di un referendum di autodeterminazione.

PSOE-CC (Coalizione delle Canarie)

  • Impegno di CC ad appoggiare i bilanci statali fino al 2025.
  • Favorire gli interessi delle Isole Canarie su tasse, finanziamenti e trasporti.
  • Non firmare la legge di amnistia.

PSOE-BNG (Blocco nazionalista galiziano)

  • Benefici sociali e creazione di 5 tribunali per trattare casi di violenza di genere.
  • Espansione della rete ferroviaria.
  • Garantire gli stessi cambiamenti di status di cui potrebbero usufruire i Paesi Baschi e la Catalogna.

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